Nella multietnica via Imbonati, la “posteria” Bertelli resiste. Dal 1938.
Classe 1939, Elda Bertelli non ha molto tempo da perdere in chiacchiere. Riccioli canuti ben tenuti e un pulitissimo grembiule ceruleo, deve preparare i panini per i dipendenti delle vicine aziende Mondialpol e Zàini, industria cioccolatiera in attività dal 1913. Elda, però, non è la proprietaria di un bar, come si potrebbe arguire. Gestisce il negozio di alimentari Eredi Bertelli snc in via Imbonati al civico 45 aperto da suo papà Paolo nel 1938 e continuamente in attività dall’inaugurazione.
Il negozio resiste in quella via Imbonati che, negli ultimi dieci anni ha visto chiudere, uno dopo l’altro, falciati dall’inesorabile decadenza del Vecchio Continente, quasi tutti i punti vendita italiani. Resiste in mezzo ai negozi di kebab e di pizze egiziane “all’aroma di cartone” consegnate al volo a domicilio in motorino, resiste tra le “cineserie” che mostrano dietro le vetrine oggetti in vendita a pochi euro e tra i negozi di telefonia dove chi è venuto qui può sentire la voce di chi è rimasto a Casablanca, al Cairo o a Bucarest.
L’alimentari Bertelli è un piccolo gioiello della Milano che fu, un luogo mitico per i nostalgici delle atmosfere cantate dal tristemente appena scomparso
Enzo Jannacci e da Ornella Vanoni, di quel “me Milan”, rigorosamente di genere maschile, che sembra proprio destinato a scomparire come una spettrale falce di luna in cielo quando viene giorno.
«Fino al 2000 la nostra insegna portava il nome di “posteria”, perché questo siamo. Poi abbiamo dovuto rifare le vetrine, che rischiavano di crollare, e abbiamo tolto quel nome che in pochi ormai conoscono sostituendolo con la scritta “salumeria” su una luce e “alimentari” sull’altra. E anche gli eleganti infissi in ferro battuto Liberty se ne sono andati per far posto ai nuovi materiali isolanti, meno belli ma più funzionali».
Già, Bertelli è proprio una posteria anche se non ne porta più il nome, come quelle dei paesini di montagna, dove dalla porta aperta entra aria fredda e pulita che si mischia al profumo del prosciutto e all’odore delle scatole di cartone appena aperte. Forse è rimasto l’unico negozio a Milano che vende un po’ di tutto: dagli alimentari ai detersivi, senz’altro è l’unico gestito dalla stessa famiglia dalla fondazione.
L’aria che entra dalla porta qui non è certo pulita: è densa e fuligginosa, avvelenata dal traffico che si spintona lento verso Piazza Maciachini o verso Affori ma, per il resto, gli odori e i prodotti della posteria ci sono tutti. Mentre Elda affetta i salumi per farcire i panini vedo spuntare un’altra nota felicemente anacronistica: su uno dei due banconi campeggia un cestino di metallo traforato ricolmo di uova sfuse che sembrano appena tolte dal pollaio, in barba ai rigidi dettami del prodotto che deve portare la data di scadenza. E anche la disposizione dello scatolame sugli scaffali è rigorosamente piramidale come imponeva la moda della vetrinistica degli anni Settanta.
Ma gli inizi di questa posteria quali sono? «Mio papà Paolo Bertelli nacque a Gessate e aprì qui il negozio nel 1938. Era bellissimo, tutti dicevano che assomigliava all’attore Amedeo Nazzari» racconta Elda mentre le si illuminano gli occhi. «Iniziò l’attività insieme a sua moglie, mia madre Giuseppina Morson, friulana, quando aveva 24 anni. Non vendeva solo alimentari pronti ma faceva anche il pane nel forno a legna. L’anno dopo nacqui io. Poco dopo, dovette dire addio alla famiglia, o meglio arrivederci, e partì per la guerra come soldato semplice. Fu deportato in Germania dopo l’Armistizio e tornò a casa quando io avevo sei anni” ricorda ancora Elda che non smette di lavorare mentre parla, incarnando il più comune degli stereotipi sui milanesi.
E continua: «Mia madre tenne aperta l’attività per tutto il periodo dell’assenza di mio padre, sotto le bombe, senza sfollare. Rimase in città con me e mio fratello abitando nell’appartamento sopra il negozio, che è ancora di famiglia. Per fare il pane, negli anni della guerra, andava a comprare la farina in bicicletta in un mulino a La Chiarella, rischiando ogni volta la vita. È morta solo un anno fa, anzianissima e felice, mentre mio padre è scomparso giovane, a soli 47 anni». Con Elda lavorano il figlio Paolo e la cognata Raffaella. Dice Paolo con un po’ di rammarico: «Una decina di anni fa sono arrivati i cinesi e ci hanno chiesto se volevamo vendere. Mia nonna Giuseppina ha detto di no. Ma non è facile resistere sul mercato, i guadagni sono risicati, siamo un piccolo negozio, non possiamo competere con le catene della grande distribuzione. Ma tiriamo avanti». Infatti, per il momento, di clienti ce ne sono. Anziani, che si sentono a loro agio, certo, ma anche giovani signore che alternano la spesa al supermercato a quella fatta qui, forse, chissà, per risentire l’atmosfera di quei pomeriggi lontani, a fare la spesa con una nonna che non c’è più.