di Alessandro Milani
Giuseppe Gervasini nacque nel 1867, per l’esattezza il primo di marzo, a Sant’Ambrogio Olona, un paesino in provincia di Varese.
Fin da piccolo visse a Milano, dove giunse al seguito dei genitori, che facevano gli osti in città. Rimasto orfano, visse con uno zio che lo fece studiare. Fin dai tempi della scuola il piccolo Giuseppe si appassionò alla botanica, alla medicina, insomma alle scienze, con una passione curiosa che coltivò anche durante il servizio militare.
Soltanto dopo il periodo trascorso nelle fila dell’esercito Giuseppe decise di consacrarsi al sacerdozio.
Le notizie delle sue gesta cominciano proprio da quando il nostro ragazzotto di provincia diventa Don Giuseppe; infatti inizia a correre veloce per tutta la città (e non solo) la fama di un prete che guarisce le persone, specialmente i poveri che possono rivolgersi a lui in quanto non chiede alcun compenso per il suo operato.
Tra le tante leggende metropolitane sorte sul conto di Don Gervasini ce n’è una che lo vuole ‘nemico dei ricchi’; in realtà amici benestanti (si parla addirittura di membri di famiglia Pirelli) ne aveva; noi riteniamo che il fatto di guarire anche le persone meno abbienti, che in quegli anni (tra il 1920 e l’inizio della guerra) non avevano altro modo per farsi medicare, abbia spinto a vedere in lui un benefattore dei poveri a discapito dei più ricchi.
La sua fama di guaritore (e si narra anche di veggente e ‘stregone’) e forse anche certi suoi modi bruschi (che riservava in modo particolare alle donne) lo resero però presto inviso a certa parte del clero milanese che lo ‘confinò’ dapprima nel paesino di Retenate (da cui presumibilmente prese il soprannome di Pret de Ratanà – che lui non amava- anche se la questione del nome è controversa) e poi lo sospese a divinis. Ma don Gervasini non uscì mai completamente dalla Chiesa Cattolica, continuò a dire messa privatamente anche quando gli era stato inibito di farlo in pubblico e venne infine reintegrato a tutti gli effetti, forse grazie all’intercessione diretta del Cardinal Ildefonso Schuster (del quale si narra fosse uno dei beneficati del prete).
Il ‘pret de Ratanà’ viveva quasi con nulla, indossava un saio molto liso (spesso con le maniche rimboccate) e offriva tutto quanto riceveva ai più poveri (si dice che facesse sfornare a sue spese tutti i giorni grandi quantità di pane che poi lasciava a disposizione dei bisognosi in una cesta davanti all’uscio della sua casa) ma, a conferma del fatto che anche tra i ricchi aveva degli estimatori, abitava in una villetta nei pressi della cascina Linterno (nel quartiere milanese di Baggio), donatagli appunto da un ricco beneficato.
Qui, nell’ampio orto retrostante l’abitazione, il sacerdote si dedicava ai suoi studi preferiti, cioè quelli relativi alle erbe e al loro possibile impiego medico; studi per nulla teorici e molto immediati.
Grazie ai suoi ritrovati molte persone guarirono, ovviamente da mali leggeri. Il prete, che venne investito poi da un alone di fascino e mistero legati a suoi possibili miracoli, era in realtà un omeopata all’avanguardia, in un periodo dove la chimica non si era ancora sposata con la medicina dando vita alla farmacologia moderna.
In questo senso, grazie alle sue intuizioni e al suo spirito democratico che lo portava a vivere come i poveri e al fianco dei poveri, la sua figura è davvero da venerare come un esempio di benefattore della cittadinanza di Milano.
Molti, al momento della sua morte, avvenuta il 22 novembre 1941, vollero ringraziarlo facendone scolpire un busto a grandezza naturale da porre sulla sua tomba, al Cimitero Monumentale.
E ancor oggi, a 60 anni dalla sua scomparsa, la sua tomba è meta continua di pellegrinaggi di beneficati e di devoti che ne chiedono l’intercessione, ricoprendone la lapide (che porta incisa la frase: ‘la fiumana dei tuoi beneficati così ti ricorda e ti ricorderà sempre’) di fiori, lumini ed ex voto.
Per questo motivo anni fa la sua tomba, inizialmente posta all’inizio del cimitero, è stata traslata in fondo, per l’esattezza al campo XX, di modo che i suoi numerosissimi visitatori non intralcino i parenti delle persone delle tombe adiacenti. E, credenti o non credenti, vedere questo piccolo tempio ricoperto di fiori in mezzo a tanti sepolcri scarni e monumentali, provoca una certa emozione.
Articolo già pubblicato sul sito “Muvi – Museo Virtuale della memoria collettiva di una regione”.