In viaggio con Nanda. Da Milano a Merano con la Pivano, cronaca di una giornata

24 aprile 2002, Fernanda Pivano a Merano con Carlo MartinelliNel 2002 la Biblioteca Civica di Merano, nell’ambito della rassegna Meranopoesia, riuscì a invitare Fernanda Pivano per un incontro con il pubblico. All’epoca aveva già 85 anni e la condizione che pose fu: andare a prenderla con un autista a Milano e riaccompagnarla la sera stessa al termine dell’incontro. Per uno di quegli scherzi che il destino a volte gioca e per la contemporanea indisponibilità di altre tre persone, fu Umberto Massarini, oggi direttore della Biblioteca Civica di Merano, a recarsi a Milano, a casa sua. Il viaggio sarebbe dovuto durare tre ore scarse ma, per un altro scherzo della sorte, ne durò invece sei, dando così la possibilità a Umberto Massarini di vivere un incontro e un’esperienza che ancora conserva nel ricordo. Il giorno dopo volle fissare sulla carta quell’incontro e scrisse di getto una fedele cronaca di quel viaggio; nessuno l’ha mai letta, lo scopo era unicamente quello di mantenere vivo in lui il ricordo di un momento bello e importante della sua vita. Ora che Fernanda Pivano non c’è più ha deciso di pubblicare quella cronaca, nella speranza che un personaggio che ha recitato un ruolo fondamentale nella storia della cultura del nostro Paese non venga, come purtroppo spesso accade, presto dimenticato. Ecco il racconto affidato – e gliene siamo grati – a Raccontare storie. 

di Umberto Massarini

Ho appuntamento con Fernanda Pivano alle 15.30 a casa sua a Milano. L’incontro con il pubblico, alla Biblioteca Civica di Merano è fissato per le 20.00, ma noi arriviamo a Milano già alle 15.00; provo a telefonarle per sentire se è già pronta e disponibile a seguirmi…Al telefono mi risponde lei personalmente:
– Mi dispiace, ma io fino alle 15.30 non posso riceverla; devo parlare con la mia dattilografa, poi non ci vedremo per diversi giorni, quindi… –
Le dico che non ci sono problemi; l’aspetterò in macchina fino alle 15.30. Mi risponde:
-Ma, no ! È brutto che lei stia giù in macchina ad aspettare ! Salga su, però fino alle 15.30 lei non mi deve parlare, faccia conto che io non ci sia. Poi alle tre e mezza, come d’accordo, partiamo. –
Sul campanello c’è scritto semplicemente PIVANO. Suono. Salgo al primo piano, vengo ricevuto dalla sua governante ed entro, non senza curiosità, nell’appartamento di questo totem vivente della storia della letteratura. L’appartamento di Fernanda Pivano è di circa 100 mq. non piccolo, anche se rispetto al precedente di via Manzoni, di circa 800, lo può sembrare. Il fatto è che l’appartamento è incredibilmente stipato di scatoloni stracolmi di libri e fotografie che stanno dappertutto e formano all’interno della casa dei veri e propri corridoi. Dietro una parete di scatole intravedo la sua dattilografa che scrive al computer mentre telefona e al mio passaggio mi saluta con un cenno del capo. Vengo fatto accomodare in un piccolo salottino dove mi siedo sui famosi divani definiti scomodissimi da Beppe Severgnini (ed effettivamente lo sono) ma che rappresentano un prodotto di design degli anni Cinquanta disegnati da Ettore Sottsass, il celebre architetto ex marito della Pivano. Aspetto. Mi guardo intorno; la stanza, come il resto dell’appartamento che ho potuto vedere, è occupata da armadi a muro alti fino al soffitto, numerati e con delle etichette che indicano “libri”, “foto” “articoli” ecc.
Anche qui è pieno di scatoloni accatastati, come per un trasloco recente o imminente, ognuno dei quali riporta una scritta che sta a indicarne il contenuto. C’è un disordine infernale, ma divertente e fantasioso. Su un tavolino stanno accatastate, una sopra l’altra, due vecchie macchine da scrivere elettriche, alcune valigie e una nuovissima stampante laser. Nella stanza c’è anche un grande televisore e sotto un videoregistratore; vicino al davanzale della finestra, che si affaccia sul retro della Galleria d’Arte Moderna, un impianto stereo. Sui tasti dei comandi di tutte le apparecchiature sono state incollate delle etichette con riportate, a caratteri più grandi, le indicazione del funzionamento. Sul coperchio di una scatola vicino a me leggo “Fernanda Pivano e Fabrizio De André – Roma 1971 – Ingrandimenti”. Appoggiata su di un tavolino una bellissima fotografia di una giovane Fernanda Pivano mentre annusa a occhi chiusi e con espressione intensa un grande fiore bianco. Una bottiglia di whisky per gli ospiti e una di Coca-Cola per lei. Alla parete di fronte a me un grande quadro di forma quadrata è coperto da un drappo di tessuto leggero nero, al centro del quale c’è disegnata una spirale verde attraversata da una scritta e da una firma che non riesco a decifrare, ma che immagino debba appartenere a qualche famoso artista.
Dalla stanza adiacente sento improvvisamente giungere la voce della Pivano che chiacchiera con la sua segretaria-dattilografa. Dopo qualche minuto mi raggiunge nello studio presentandomi la sua collaboratrice, che ho intravisto entrando e che scopro si chiama Isabella. Fernanda Pivano ha un viso luminoso, due occhi vivacissimi e attenti e un sorriso molto dolce. Mi dice – Allora andiamo ?, pensa – dice rivolta a Isabella – vado fino a Merano con questo bel bibliotecario!-
Scendiamo in ascensore e la Pivano mi dice subito : – Ci diamo del tu o pensi che sono troppo vecchia?- Le dico che, sinceramente, sono un po’ in imbarazzo, che mi sembrerebbe poco rispettoso. Mi risponde – Hai ragione !-
Saliamo in macchina e subito inizia a raccontarmi che la sera prima è tornata tardissimo in automobile da Roma.
– Oggi non sono tanto in forma, sai? Ieri sono stata a Roma all’inaugurazione di questo Auditorium gigantesco che ha progettato Renzo Piano. Renzo è una persona meravigliosa, per me è il personaggio più importante che abbiamo in Italia, è genovese come me, io sono molto orgogliosa di noi genovesi, siamo una piccola “mafia” non pericolosa di persone un po’ speciali. Lo sai che Renzo ha dovuto prendere la cittadinanza francese? Pensa, lui voleva adottare un bambino americano, ma la legge qui non glielo permetteva, perché, non so bene, ci sono troppi anni di differenza tra lui e il bambino, e allora lo hanno praticamente costretto a cambiare cittadinanza. Pensa che razza di personaggio ci siamo persi! Beh, ti dicevo sono tornata in macchina da Roma e stavo seduta dietro, solo che avevo poco posto per le gambe, perché davanti c’era seduta una signorina, sai una di quelle che hanno bisogno di tanto posto…insomma mi è venuta una borsite e hanno dovuto portarmi al Pronto Soccorso. Lì sembrava addirittura che volessero operarmi il piede, invece alla fine mi hanno fatto una puntura antidolorifica e me ne sono andata; poi sono stata in un posto strano, sai mi avevano invitato, una specie di pub buddista, beh alla fine sono arrivata a casa alle quattro; le mie giornate sono sempre così… –
Poi passa a parlarmi della sua biblioteca di oltre 40.000 libri, articoli di giornale recensioni fotografie, che nel suo testamento aveva chiesto che venisse bruciata, dopo essere stata rifiutata dal sindaco di Milano, da quello di Roma, dalla Biblioteca Sormani di Milano e da quella Vaticana con la motivazione che occupava troppo spazio.
– Poi un giorno mi ha invitato a colazione Luciano Benetton, e io ho pensato: Ecco adesso mi regala i golfini! Invece lui non ha quasi mai parlato per tutto il pranzo, ho pensato beh, forse mi chiederà un autografo, e solo alla fine mi ha chiesto se volevo che si occupasse dei miei libri. Per me stata un’emozione fortissima. Mi ha lasciato quasi senza parole. Così è nata la Biblioteca Pivano nella Fondazione Benetton. Solo che all’inizio mi hanno dato una stanza con una ragazza che ci lavorava due ore al giorno. Adesso occupa già otto stanze e ci lavorano sei persone! È che io i libri non posso ancora darglieli tutti; mi servono per i miei articoli, le recensioni di lettura. Allora ogni tanto telefono e gli dico: – Mi serve questo libro o quest’altro – e loro sono tanto carini e me lo fanno arrivare subito –

Nel frattempo il nostro autista cerca, a fatica, di districarsi nel traffico, ma per uscire da Milano impieghiamo quasi un’ora. Appena entrati in tangenziale ci rendiamo conto che la situazione è piuttosto seria e venirne fuori sarà un problema: il traffico è intensissimo e alimentato sia dalla gente che esce dal lavoro, sia da quelli che stanno partendo per il lungo ponte del 25 aprile/1 maggio; procediamo praticamente a passo d’uomo su tre corsie affiancate e comincia a fare anche un bel caldo.
La Pivano però è in forma e chiacchiera volentieri. Mi racconta del Festivaletteratura di Mantova al quale partecipa quasi ogni anno.24 aprile 2002, Merano, biblioteca civic a: Umberto Massarini legge un testo di Fernanda Pivano – Due anni fa Severgnini mi ha fatto un po’ un brutto scherzo (ricordo l’episodio, ero tra il pubblico) dovevamo presentare insieme lui il suo libro e io il mio. Lui è molto carino, è un uomo molto intelligente e spiritoso, ha questo humour inglese, soprattutto quando parla, quando scrive…beh, solo che praticamente non mi ha fatto parlare, io rispondevo a monosillabi SI, NO e i ragazzi tra il pubblico protestavano, fai parlare Nanda! Poi la sera dovevamo andare a una cena che avevano organizzato per una scrittrice di bestsellers….la…pensa, quella scrive dei bestsellers e io non mi ricordo neanche come si chiama! Quella è una che quando parla dice di quelle cretinate..Beh, siamo arrivati e quando Beppe ha visto com’era la situazione ha detto che improvvisamente si è ricordato di avere un impegno ed è scappato via. Solo che così a me è toccato restare!

Poi mi parla del film sulla sua vita che il regista Luca Facchini ha da poco finito di realizzare e che è stato presentato nei giorni scorsi a Roma. Le chiedo se il film le è piaciuto.
– No…Insomma, nel film ci sono io com’ero una volta e come sono ora. Sai, non me ne frega mica niente di essere invecchiata, mi dispiace di avere l’aspetto che ho adesso…anche se a me mi hanno rovinata i chirurghi…Però mi piace perché ha dato un’immagine giusta del mio rapporto con i giovani..i giovani mi vogliono tanto bene e a me piacciono tantissimo. Quando lì vedo lì seduti davanti che mi ascoltano e mi guardano con questi faccini, gridano Nanda Nanda!… Tanti vengono a chiedermi: Nanda, dicci che cosa dobbiamo fare? Ma non è mica una risposta facile, tanti anni fa sapevo cosa dirgli, ma adesso….e loro hanno bisogno di riferimenti, hanno bisogno di un leader, ma io non posso mica mettermi a fare il leader a 85 anni! Sai, Luca, il regista, ha messo una bella cosa alla fine, ci sono io che rivolta ai giovani dico: E adesso andate, figli di puttana, che il mondo è tutto vostro! E poi si vede una marea di giovani che corrono.. è bella no? –

Procediamo lentissimi; il traffico è sempre più intenso e il caldo aumenta. Il climatizzatore della nostra auto non riesce a farci arrivare aria fresca e aprire i finestrini significa respirare aria calda e velenosa. Armando, il nostro autista, ogni tanto cambia corsia per cercare di procedere più speditamente, ma non c’è verso. Da una vettura della Polizia che procede in senso inverso ci comunicano, a gesti, che più avanti c’e stato un incidente, pare ci sia anche un morto. Io sto sudando sia per il caldo che si fa via via più pesante, sia perché comincio a pensare che se la situazione traffico non migliora in tempi brevi, rischiamo di arrivare a Merano con un ritardo pauroso. Telefono alla Biblioteca dove siamo attesi e spiego la situazione anche se non sono in grado di fare previsioni sul nostro arrivo.
La Pivano riceve qualche telefonata di lavoro e di amici; parla con tutti con estrema cortesia, pacatezza inframmezzando al discorso battute di spirito e commenti salaci. Ho la netta sensazione che tutti quelli che la chiamano si rivolgano a lei con grande rispetto e tenerezza.
Considerando la situazione in cui ci troviamo le chiedo se è proprio sicura di non volersi fermare a dormire a Merano e ripartire il giorno dopo, invece di affrontare subito un faticoso viaggio di ritorno (anche perché penso, ma non le dico, che se va avanti così la serata inizierà e finirà con un ritardo pazzesco e quindi prima delle due non ripartirà). Mi risponde:
-No assolutamente, lo vedi quante cose ho da fare ? poi non riesco più a dormire fuori casa, faccio fatica. Sai, a dirti la verità io ho fatto di tutto per non venire da voi a Merano, siete così lontani! Ma voi avete tanto insistito…–
Non ci si muove. Comincio a essere teso e soprattutto preoccupato dalla possibilità che la Pivano, già affaticata dalla giornata precedente, decida di non voler più proseguire e chieda di essere riportata a Milano. Cosa potrei fare in quel caso? Fortunatamente riesce a riposare, anche se di tanto si sveglia lamentandosi per il caldo. Arriviamo a Bergamo alle 19.00 passate; il traffico ora si è parzialmente smaltito e si riesce a viaggiare a una buona velocità anche se, a questo punto, possiamo scordarci di arrivare a Merano per le 20.00. Ritelefono in Biblioteca e, cautamente, dico di cominciare ad avvisare il pubblico che prima delle 21.00 non saremo a Merano. La Pivano è molto dispiaciuta per il ritardo:
-Vedi, la puntualità è una cosa molto importante per quelli della mia generazione; io cerco sempre di non arrivare mai in ritardo agli appuntamenti. Mi rincresce veramente per tutti quei poverini che sono lì che aspettano…–
Cerco di tranquillizzarla dicendole che a Merano c’è molta attesa per il suo arrivo e quindi penso che buona parte del pubblico si fermerà comunque, nonostante il ritardo con cui arriveremo. Mi chiede quanta gente penso che ci sarà. Sparo 200, 250 persone (in realtà sono quasi sicuro che, anche per via del ritardo, ce ne saranno parecchie di meno). Sembra quasi delusa. Poi mi chiede come abbiamo pensato di impostare la serata e, senza attendere la mia risposta, mi fa: – Sai io ho pensato che, io potrei leggere una delle mie traduzioni di Spoon River, poi…., c’è qualcuno su da voi che legge bene in inglese? –
Rispondo che non credo proprio e allora prosegue: – Beh, allora io leggo una delle mie traduzioni e tu…, mi hanno detto che tu leggi no?, tu potresti leggere una delle traduzioni di De André (che lei chiama affettuosamente Fabrizio) e poi facciamo ascoltare una delle canzoni di Fabrizio che sono sempre tante belle. Ce li avete i dischi di Fabrizio in Biblioteca no ? –
Mi riattacco al cellulare e chiedo ai miei colleghi di recuperare, in qualsiasi modo, il Cd di De André con le canzoni di Spoon River.

de andré non al denaro...La Pivano continua a chiacchierare a ruota libera, mi racconta di come il mondo dell’editoria l’abbia sempre trattata piuttosto male, perché lei non è mai stata allineata.
– Lo sai cosa mi ha fatto recentemente la Mondadori? Ha tolto le mie prefazioni da tutte le mie traduzioni! Hanno detto che erano troppo vecchie e che le hanno sostituite con altre “più educative”. Vorrei sapere che cosa vuol dire! Pensa che io sono stata tre volte in prigione per tradurre quei libri ! Fino ad allora la letteratura americana che veniva tradotta era soltanto quella che rappresentava un’America allo sfascio, in ginocchio, tormentata dalla povertà e dalla disoccupazione. Faceva comodo così. Se non era per me quell’altra America non l’avrebbero nemmeno conosciuta. E io sono stata in galera, tre volte! Sai che Antonio Ricci, il regista, adesso ha un processo, l’hanno condannato a quattro mesi di carcere, e lui mi ha detto che ci vuole andare! Gli ho detto: guarda che in prigione ci sono i topi e le cimici!… Io ho fatto guadagnare tanti soldi agli editori, e loro non mi hanno mai dato una lira. Pensa che ad Arnoldo Mondadori gliel’ho detto io di pubblicare Kerouac. Loro avevano comprato i diritti di On the road e lo tenevano lì fermo pur di non darlo alla concorrenza, come fanno alle volte. Allora una sera eravamo a una festa a Roma e io gli ho detto che loro avevano un libro che gli avrebbe potuto far guadagnare un sacco di soldi. Lui mi ha chiesto come mai i suoi collaboratori non se ne erano accorti e io gli ho risposto che ogni tanto erano un po’ distratti, allora lui mi ha domandato: Com’è che si chiama? e ha tirato fuori dalla giacca un notes piccolino, di quelli da cento lire. Si è annotato il nome solo che ha scritto Keruac senza la o e così quando il libro è stato pubblicato è uscito come Keruac, nessuno aveva avuto il coraggio di correggerlo!
Parla ancora di letteratura, di scrittori, di libri, personaggi. Le chiedo di Fabrizio De André; mi risponde:
– È stato un rapporto meraviglioso, perché abbiamo fatto il disco insieme, capisci? –
Su di lui però non aggiunge altro e capisco che non vuole dirmi altro; si tratta evidentemente di una cosa troppo personale e, penso, ancora molto dolorosa da ricordare. Vorrei chiederle di Hemingway che è stato un mio mito quando ero un po’ più giovane, ma mi vergogno un po’ di farle una domanda così banale, che altri le avranno fatto centinaia di volte. Le chiedo allora di Spoon River, anche se pure questa non è granché originale, e mi racconta che gliel’aveva passato Pavese e lei se ne era subito innamorata traducendolo inizialmente solo per sé. Le chiedo ancora di Jay McInerney che so che stima molto e infatti mi dice:
– È il più bravo, ha una cultura e una preparazione incredibili e un grande fascino. Ah, lo sai che mi hanno dato un premio?, pensa un premio intitolato alla scienza, letteratura e pace. Ah, mi ha fatto così piacere, la pace, a me…lo sai no che il mio saluto è sempre pace e amore?
Il nostro viaggio continua. Armando ora fa di tutto per mantenere un’andatura veloce e contemporaneamente sicura. Comincia a fare buio e appaiono le prime montagne.
– Eh, che scure queste montagne! Devono essere piene di orchi!
Ride. Poi si intristisce un po’:
– È quasi finita un’altra giornata …sai, ogni giornata che passa mi dà una grande malinconia, non so mica quante altre me ne restano…E poi sono sola, non ho più nessuno… mia mamma e mia sorella sono sepolte a Genova, mio padre invece a Torino. Ci vado poco a trovarli, eh, siamo sempre così ingrati nei confronti dei nostri genitori….Tu come sei messo, sei sposato?
Rispondo che convivo da diversi anni. Mi chiede se abbiamo figli, rispondo di no.
– Sei un saggio – mi dice.
Le dico che sono rimasto sorpreso del fatto che il suo nome compaia normalmente sull’elenco del telefono e le chiedo se il fatto di essere così facilmente rintracciabile non le crei, a volte, dei problemi.
– Me li crea sì, però trovo che sia estremamente incivile nascondersi e farsi negare. Come quelli che spesso cerchi al cellulare e ti rispondono che non sono raggiungibili, ma cosa vuol dire? Io quando mi rispondono così poi non li chiamo più!
Ci fermiamo, veramente un’istante, per fare benzina, la signora Pivano mi chiede, per piacere, di andarle a prendere una Coca-Cola (“la mia droga!”).
Ripartiamo. Avviso per l’ennesima volta la biblioteca che siamo in arrivo e che dovremmo essere a Merano intorno alle 21.30. Mi informano che in biblioteca sta succedendo una cosa sorprendente e insolita: il pubblico non se ne è andato, sta aspettando; due ragazzi, recuperati casualmente, stanno suonando la chitarra intrattenendo il pubblico mentre Carlo Martinelli, il giornalista che fungerà da interlocutore dell’incontro, sta parlando da un’ora a ruota libera della Pivano, e la gente sta rievocando gli anni della beat generation e i loro ricordi di gioventù. Si è creato un evento in attesa dell’evento, non era mai successo. Non era nemmeno mai successo che in biblioteca una serata iniziasse nell’orario in cui normalmente finisce.
La signora Pivano continua a essere affascinata dalle nostre montagne e dai castelli che illuminati e bellissimi brillano a mezza costa rompendo il buio della notte. Mi dice: – Ieri sera ti ho detto che sono stata in quel pub un po’ strano, un po’ esotico?…beh lì ho conosciuto uno che è stato per molti anni nei mari del Sud e lui mi ha consigliato una pianta, per fare degli impacchi al mio piede, che si chiama aloe; lo sai che nei mari del Sud tutte le parole hanno due vocali, una vicina all’altra? È una cosa sentirli parlare che uno perde la testa per come sono belli!, a parte che sono la gente più bella del mondo, incredibili! E allora insomma mi sono segnata il nome di questa pianta per fare gli impacchi, solo che chi è che ha il tempo di farsi gli impacchi..? Hai capito come sono le mie giornate? E sono tutte così sai? Non è che ogni tanto c’è n’è una diversa, sono tutte così. Insomma alla fine sono arrivata a casa alle quattro, ho cominciato a guardar un po’ di posta…
– Ma ha dormito? –
– Ho dormito un paio d’ore –
– sempre così poco? –
– Non ho tempo… poi cominciano a telefonarmi …C’è un povero malato che mi telefona quasi tutte le mattine per dirmi che c’è l’ha bello duro! Tutti i giorni, ma da mesi! Una volta però mi ha chiesto anche di Pavese, dev’essere un maniaco sessuale particolarmente acculturato! Il mio problema è che mi telefona molto presto alla mattina. Un sacco di gente mi telefona alla mattina e io la mattina ho tante cose da fare, devo lavorare con la dattilografa. Io glielo dico di non chiamare ma loro si dimenticano; preferirei che mi chiamassero il sabato o la domenica che sono sempre sola….Mi telefonano queste ragazze e mi dicono: sa, ma noi siamo in ufficio solo la mattina; queste cretine! Io non sono mai stata femminista sai? Detesto le donne! A me piace che gli uomini mi portino la borsa, mi aprano le porte…Che poi è colpa mia se ci sono state le femministe; noi, quando dico noi parlo dei miei amici americani, abbiamo fatto la liberazione della donna, degli omosessuali, dei neri, delle religioni. Solo che poi dalla liberazione della donna sono venute fuori queste stronze delle femministe che ci hanno fatto odiare dagli uomini! Che poi queste femministe, che erano capeggiate dalla Dacia Maraini insieme ad Adele Cambria una bravissima giornalista, a Roma avevano occupato una casa, dove facevano le loro riunioni, però era proibito l’accesso agli uomini. MI avevano invitato e io ho detto: Non vengo, perché siete delle razziste e non fate entrare gli uomini! allora Adele Cambria mi ha detto: Sai Nanda se qui facciamo entrare un uomo queste gli saltano addosso! Allora mi hanno fatto tenerezza e così una volta sono andata. Stavano lì tutte sedute per terra su questo cemento gelato, mi sono presa una cistite che mi è durata un mese! Facevano l’autocoscienza, poi hanno cominciato con le loro storie, gli uomini sono tutti schifosi, ce ne hanno fatto di tutti i colori, dì tu Nanda, tu che sei stata trattata così male, tu sei una vittima degli uomini! E io ho risposto, veramente a me gli uomini piacciono tanto (ride), sì, è vero, mi è andata male, però forse ho fatto degli errori, poi gli ho detto, non sono stata abbastanza puttana, e questo le offende da morire! Allora hanno detto, dobbiamo fare il lesbismo politico, e io ho detto ma figuratevi se io mi metto fare il lesbismo politico, no no guardate stasera facciamo pochi affari perché io non sono d’accordo con niente di quello che avete detto. Poi siamo uscite e queste ragazze, saranno state una decina, ognuna aveva il suo maschietto che l’ aspettava, l’unica che era sola ero io! Mi è venuta una rabbia! Senti, quando arriviamo io dico: fate l’amore, non fate la guerra eh ?, magari gli diamo delle idee! Oh che bello quel castello lì..

mieiquadrifogliMi telefonano ancora per sapere dove siamo, rispondo che siamo a Bolzano, saremo lì tra dieci minuti/un quarto d’ora circa. La Pivano dice:
– Ah, ma allora devo prepararmi, aiutami a infilare la giacca …Ecco adesso sono tutta vestita per bene…Senti, quando arrivo devo dire Gruess Gott?  Me lo dicevano quando ero sulle montagne, è così carino…, un po’ come a Papua, anche lì quando ci si incontra in montagna, ci si saluta. Perché è il pericolo della solitudine grande, della solitudine misteriosa che fa una specie di tentativo di alleanza con gli uomini, e allora anche a Papua fanno dei segni con le mani….una puzza hanno addosso poverini, perché loro, per difendersi dal freddo in montagna, si ungono il corpo con grasso di maiale, non ti dico la puzza, poverini….Sono sani quei posti, ho una nostalgia, con tutte le porcate che abbiamo qui, non ce li immaginiamo neanche che cosa sono quei posti. Ci sono solo questi uomini che sono a contatto con il pericolo della vera natura, noi non sappiamo neanche più cos’è la vera natura… Beh senti, tu hai detto dieci minuti, ma i dieci minuti sono passati, sei un bugiardo, un bugiardo come tutti gli uomini! (ride)
– No le giuro, adesso siamo arrivati –
– Non ci credo neanche..…va beh però se tu continui a darmi del lei devo darti del lei anch’io, se no cosa facciamo, arriviamo lì che io ti do del tu, tu mi dai del lei… –
– Ma, non posso, rispondo, cosa faccio, arrivo lì e io le do del tu, farei la figura di quello che vuole… –
– Beh allora anch’io le devo dare del lei signore, la devo chiamare dottore vada a fare in culo? –
– Ma no, poi non sono dottore, mi chiami semplicemente Umberto… –
– Eh, va beh…, siamo tutti dottori, bastano cinque lire e si diventa dottori, perché credi che le lauree siano delle cose serie, figurati..(vede il cartello che indica Merano) ah beh allora ci siamo davvero, ti dirò che com’era partita questa cosa non ci speravo proprio di arrivarci, ci voleva solo la tenacia di Armando, Armando è stato fantastico…ha cominciato a incazzarsi un po’, poi è stato bravissimo… –
La macchina si ferma finalmente davanti alla biblioteca, la signora Pivano scende, non senza aver prima salutato e ringraziato ancora una volta il nostro autista. Subito viene bloccata da una troupe della RAI che le rivolge alcune domande a cui lei risponde con la cortesia e la chiarezza di chi è abituato a farlo spesso. Entriamo finalmente in biblioteca e la Pivano viene accolta da un caloroso applauso da parte del pubblico, a cui lei risponde incrociando le braccia e toccandosi le spalle con le mani e con il suo saluto preferito, Pace e amore.
Sono le 21.30 la serata può finalmente avere inizio. Io mi sento distrutto da dieci ore di macchina, il traffico, il caldo e la tensione che mi hanno accompagnato per buona parte del viaggio, la Pivano, che per inciso ha il doppio dei miei anni, è fresca come una rosa, allegra, pimpante e spiritosa e con una gran voglia, almeno sembra, di confrontarsi con la gente. Tira avanti così per un’ora e mezza, disponibile, divertente, brillante a raccontarci di letteratura, di personaggi, di storia americana e storia italiana, di vita. Leggiamo la poesia di Francis Turner tratta da Spoon River, lei la sua traduzione, io quella di De André e in quel momento non realizzo che sto leggendo insieme a uno dei personaggi più importanti della storia della letteratura di questo Paese, non credo che una cosa del genere mi capiterà più tanto spesso.
In chiusura di serata chiedo di poter leggere un brevissimo estratto dal suo libro I miei quadrifogli, un estratto dal titolo “Il sogno di Shakespeare” che ho trovato bellissimo e intensamente poetico; quando lo annuncio Fernanda sorride e mi dice, con grande tenerezza, – figlio di puttana – credo che quel pezzo piaccia anche a lei e piace sicuramente al pubblico che al termine della lettura le dedica un lungo e commosso applauso e che la trattiene ancora a lungo per salutarla e farsi firmare qualche autografo.

Prima di ripartire la Pivano vuole mangiare qualcosa e, con una certa fatica dopo alcuni tentativi falliti, riusciamo a trovare un ristorante ancora aperto. Fernanda ora comincia a essere stanca e impaziente di rientrare, ma mantiene una conversazione ancora brillante e si illumina immediatamente quando nel ristorante fanno il loro ingresso i due ragazzi che, in attesa del suo arrivo in biblioteca, hanno intrattenuto il pubblico con le canzoni di Bob Dylan; sono quasi certo che se avessero con loro le chitarre lei gli chiederebbe di suonare. Sono quasi le 2.00 ed è ora di partire. La saluto per ultimo, tengo per me questo piccolo privilegio. Mi chiede:
– Anche adesso non riesci a darmi del tu? –
Non ricordo più cosa rispondo, credo di non riuscirci nemmeno in quel momento, però le dico che la ringrazio per quel viaggio, per le chiacchierata, per il libro con dedica che mi ha regalato, per questa giornata, che porterò dentro di me come una delle cose belle della mia vita. La Pivano sorride e mi guarda come per dirmi – Che esagerato che sei! – Mi abbraccia e mi bacia sulle guance, poi sale in macchina e parte.

Un paio di settimane più tardi, un sabato, provai a telefonarle. Rispose lei in persona. Ero convinto che a distanza di qualche tempo avesse completamente rimosso il ricordo di uno dei tanti fra i mille incontri a cui partecipava e soprattutto della persona che l’aveva accompagnata, invece lei si ricordò subito: – Ma certo, Umberto! Il bibliotecario che mi ha fatto conoscere Merano! – Fu gentile e affabile; chiacchierammo un paio di minuti e poi ci salutammo, ovviamente fu l’ultima volta che ebbi occasione di parlare con lei.
Quando ripenso a lei mi viene in mente quell’ultima telefonata; anche quella volta non sono riuscito a darle del tu, ma penso sia stato giusto così.

 

Nella prima foto, 24 aprile 2002, Fernanda Pivano a Merano con Carlo Martinelli.
Nella seconda, 24 aprile 2002, Merano, biblioteca civica: Umberto Massarini legge un testo di Fernanda Pivano.

Quando parlare di cucina ha senso

cucina del sensodi Alessandro Milani

Affrontare oggi, anno 2013, il tema della cucina in maniera originale ormai è quasi impossibile.

Siamo infatti immersi, o meglio, sommersi – tanto è forte la sensazione di trovarsi in una situazione pervasiva e fuori dal proprio controllo – da trasmissioni tv, riviste, libri che trattano dell’argomento.

Anche tralasciando le derive ultra pop e molto trash dei cosiddetti vip alle prese con i fornelli e di quelle persone che vip lo sono diventate proprio grazie ai fornelli, senza esser mai stati non dico cuochi ma nemmeno camerieri, resta comunque la mole di informazioni che quasi quotidianamente (se avete un contratto a canali satellitari togliete pure il “quasi”) ci viene fornita.
Ricette, ricette e ancora ricette. Qualche volta presunti trucchi, quasi mai educazione alimentare.

Perché tutto questo? Perché vende, sono le leggi del mercato. Laddove i prodotti di qualità non vengono pagati e sempre meno anche commissionati, si punta al prodotto facile, vendibile, e realizzabile con tanta passione e meno soldi.

Difficile trovare un altro motivo, un altro senso.

Ecco perché, dopo questa lunga e forse banale premessa, che è poi ciò che mi passa per la testa ogni volta che sento la notizia di un nuovo evento mediatico a tema enogastronomico, trovare un volume che parli di cucina in modo completamente diverso è un vero miracolo.

Quale la chiave di lettura nuova? Quella più semplice, mi verrebbe da dire quella “intelligente”, nel senso letterali del termine. Quella cioè che prova a trovare un senso. Ed è ciò che riesce a “La cucina del senso”, edito da Mimesis e curato da Gianfranco Marrone e Alice Giannitrapani.

La casa editrice milanes/sestese si connota per una preparata predilezione per testi filosofici, e qui ci offre quello che sulla carta, anzi, a la carte, sembrerebbe un’antologia di testi di semiotica relativi al tema “cucina”.
Non è soltanto questo, fortunatamente. Fortunatamente perché il volume ha così la possibilità di aprirsi a un pubblico più vasto di quello formato dai semiologi, che pur non rimarranno certo delusi dal livello scientifico dei vari saggi.
Il volume, che nasce anche grazie al Master in Cultura e Comunicazione del Gusto dell’Università di Palermo, è infatti una raccolta di contributi in parte di grandi antropologi, semiologi e filosofi ormai diventati veri classici, e in parte una collezione di interventi di giovani ricercatori, anche italiani (eh, sì, esistono ancora ricercatori italiani!).

Il libro non ha così la pretesa di essere letto in toto per trasmettere il suo senso, ma può offrire spunti interessanti, anche per il semplice curioso, digiuno o quasi di studi filosofici o di comunicazione.

A fianco dei saggi di Barthes, Lévi-Strauss e Bastide – i quali, concedetemelo, danno ossigeno a un laureato in filosofia appassionato di cucina e vittima di clericiumi, parodianesimi e mastersceffismi – ci sono interventi più mirati a individuare quel “senso” nascosto sotto quella narrazione che mira a toccare gli altri “sensi” e che non noteremmo facilmente.

Narrazione televisiva, narrazione testuale, ma anche narrazione attraverso immagini e simboli, ovviamente.

provacuocoEcco quindi, per esempio, il saggio del primo curatore del volume, quel Gianfranco Marrone, ordinario di Semiotica a Palermo, il quale, da buon siciliano, si concentra su La forma dell’arancino; Marialaura Agnello affronta una delle icone pop più famose al mondo in Un Don Giovanni felice. Intorno al logo di McDonald’s, Alice Giannitrapani cerca di capire la comunicazione della Bialetti con il lancio della “moka” Mukka Express, mentre il contributo, assai tecnico, di Algirdas Julien Greimas, La zuppa al pesto o la costruzione di un oggetto di valore, cerca di individuare il PN (il programma narrativo) di una ricetta.

Quelle ricette che ci circondano, che ci stuzzicano, che ci stufano, che riempiono i palinsesti, le riviste e le librerie. Apparentemente senza “senso”…

 

La cucina del senso. Gusto, significazione, testualità. A cura di Gianfranco Marrone e Alice Giannitrapani, Mimesis editore, Sesto San Giovanni (MI), 2012.

www.mimesisedizioni.it

 

SUC, l’unica lotta che si perde è quella che ti fa perdere la socialità

spazio ufficio condivisodi Alessandro Milani

Milano, Isola-Garibaldi. Il quartiere di storie potrebbe raccontarne per ore e ore, anzi, per giorni interi.

Basta guardare fuori dalla finestra per vedere una stratificazione edilizia, commerciale, sociale e umana che altrove la città non ha, o nasconde, o ha completamente perso.

Qui, fino a pochi anni fa, prima che la speculazione sui terreni dell’“Area Garibaldi” portasse ai grattacieli della “Nuova Milano” che guarda all’Expo 2015 imbrattata di cemento e calcestruzzo, c’era la stecca degli artigiani.

Può essere solo apparentemente un caso se la Rete Redattori Precari (Re.Re.Pre. per gli amici) abbia deciso di compiere qui un salto di qualità. Un salto non nel vuoto, quello purtroppo è già garantito dall’asfittica editoria italiana (per lo meno la cosiddetta “grande” editoria, quella che a Milano dava lavoro a centinaia di redattori, internamente o attraverso i service editoriali).

No, il salto di qualità è concreto: passare dalle lotte di denuncia verso situazioni lavorative ben sopra il limite della decenza e dalla preziosa assistenza sindacale, legale, umana ai redattori precari all’offrire un servizio concreto, prezioso.

Tra il dire al fare c’è di mezzo il mare. Balle. Anche grazie alla collaborazione con San Precario, che utilizza a sua volta i locali di via Confalonieri 3 (con Pianoterralab.org e un Gruppo di Acquisto Solidale), oggi, 9 ottobre 2013, nasce SUC – Spazio Ufficio Condiviso.

quartiere isola milanoDopo 6 mesi di “studio” e attesa, vede la luce, come recita il “sottotitolo”, il primo coworking solidale. Completamente gratuito, sia lo spazio, sia il wi-fi (velocissimo), offre – per ora solo al mercoledì dalle 10 alle 19 – un posto dove lavorare, lontano dalla solitudine e dall’atomizzazione del lavoro alla quale sta portando il precariato.

Che bello lavorare in proprio, con partita IVA, in tutta libertà e da casa propria. Provatelo e poi ne riparliamo: senza voler citare i ritmi da consegne serrate e l’impossibilità di ammalarsi, già l’adeguamento della propria casa (familiari in primis) per un’attività lavorativa e il compenso da fame portano a un’alienazione che persino a Marx sarebbe sembrata fantascientifica.

Tanti ne discutono, oggi (ma la situazione è soltanto peggiorata con la crisi, non è nata di recente, purtroppo), ma pochi fanno concretamente qualcosa.

san precarioTanti si lamentano, ma si fermano lì. È quello che mi dice subito Laura, redattrice da 6 anni (tutti precari) per un grande colosso editoriale italiano, la quale passa da un contratto a progetto a uno a ritenuta d’acconto in barba a qualsiasi regolarizzazione lavorativa. La sua storia è ahimè paradigmatica: laurea, viaggio all’estero, atterraggio in nazione precaria. Mi racconta del suo mondo del lavoro facendo anzitutto riferimento alle possibilità (mancate) di organizzarsi all’interno delle case editrici anzitutto affinché non si arrivasse a questo livello di sfruttamento: mai uno sciopero dei redattori, mai un “no” alle proposte – spesso indecenti – che ti vogliono veder lavorare anche la sera e nel weekend. Perché tanto, per un redattore che dice no, ce ne sono altri 10, forse 100, pronti ad accettare, per non parlare di quelli senza lavoro pronti a prendere il tuo posto, anche se precario.

Anche il gruppo dei Redattori Precari risente di questo iato tra chi si informa sulla loro attività (su Facebook o attraverso la mailing list) e chi poi partecipa attivamente alle riunioni: si parla di un rapporto di 2000 a 10, mas o menos. La voce grossa la fa ancora una volta la paura: si teme di più il mostrarsi pubblicamente attivi per difendere i propri diritti rispetto al temere una vita fatta di costanti prevaricazioni, ansie, medicinetuttiigiorni, impossibilità di stare male e soprattutto di progettare il proprio futuro.

Non è tanto diversa la storia di Alessia, laurea, esperienze all’estero, master e poi redattrice da 4 anni, e da 4 anni con partita IVA per un altro grande editore milanese “di cultura” e attiva fin da subito nella Rete e in San Precario.

Così vale per anche per Serena, Simona e tante altre redattrici e redattori.

lavoro culturale

Perché tante donne tra le redattrici precarie? Forse perché a tutti i motivi di sfruttamento citati sopra, va aggiunto il fatto che una donna che sceglie questo mestiere non può pensare di avere figli; altrimenti smette immediatamente i panni della redattrice precaria per indossare quelli della mamma disoccupata. Quanti possono permetterselo? Economicamente e a livello di dignità, umore, progetti di vita. Quale società ti mette di fronte alla scelta obbligata tra lavoro (attenzione: il lavoro non la “carriera”, secondo lo stereotipo che ci hanno venduto fino agli anni ’90) e famiglia? È tutta colpa della crisi?

Domande senza risposte, almeno convincenti.

L’unica soluzione possibile è fare, e non farsi schiacciare. Meglio se lo si fa restando uniti, recuperando almeno parte di quel tessuto di relazioni umane che si sta via via perdendo nelle città, nei quartieri, persino nelle redazioni del “lavoro culturale”.

Resistere, bisogna resistere, umanamente prima di tutto, perché l’uomo è (ancora) un animale sociale.

A pochi giorni dalla scomparsa del generale Giap che in Europa portò a coniare lo slogan 10-100-1000 Vietnam, oggi che il nostro orizzonte si è purtroppo ristretto anche politicamente, cerchiamo di salvare il salvabile gridando 10-100-1000 SUC!
Almeno.